mercoledì 22 maggio 2013

La pesca ricreativa e il suo impatto sulla natura





La pesca sportiva e' una delle attivita' umane con origini piu' antiche.

Le sue origini sono collocate nel Paleolitico (40.000 anni fa) da reperti archeologici. Ovviamente a quel tempo la pesca era un'attivita' rivolta esclusivamente all'alimentazione ed effettuata con tecniche rudimentali.

Tecniche che non erano limitate a reti, arpioni o altro ma che svilupparono gia' circa 20.000 anni fa ami e lenze. Queste ultime si sono evolute nei millenni; il primo resoconto storico della pesca intesa come attivita' ricreativa risale al 1496.

Oggi la pesca sportiva (cioe' non effettuata come lavoro) si e' evoluta non solo nei materiali, ma anche nell'etica. Negli ultimi 10-20 anni una piccola porzione di pescatori rilascia il pescato invece di trattenerlo.

Vista la mole di praticanti, l'indotto e il valore sociale della pesca possiamo tranquillamente dire che si tratta di un'attivita' importante della sfera umana. Una ragione in piu' per interrogarsi sulle conseguenze che essa ha sull'ambiente.

Che impatto ha la pesca sulla natura? E quanto incide in rapporto ad altre attivita' umane?



E' immediato dire che l'impatto principale riguarda la rimozione e mortalita' accessorie delle specie target. 

Se la prima parte e' autoevidente magari per la seconda occorre specificare meglio. Si parla di mortalita' accessorie quando le catture non vengono trattenute (mortalita' riardata, dopo il rilascio) o quando i pesci subiscono danni che portano alla morte anche senza essere catturati (perche' si liberano durante il combattimento).
Infatti il catch & release (cioe' il rilascio del pescato) riduce la mortalita' dovuta all'azione di pesca ma non la elimina. Specie diverse risentono in maniera diversa e molti fattori contribuiscono al tasso di mortalita' accessoria. Per esempio le anguille catturate a fondo spesso ingoiano l'esca compromettendone la sopravvivenza dopo il rilascio.

Quanto e' forte l'impatto della pesca sulle popolazioni di pesci oggetto della stessa?

La risposta non puo' essere univoca. L'impatto dipende principalmente da almeno tre fattori: la specie target, l'ambiente e la pressione di pesca. Specie diverse hanno dinamiche di popolazione diverse e sono diversamente suscettibili alla cattura con una determinata tecnica. Dinamiche di popolazione e suscettibilita' alla cattura a loro volta variano a seconda dell'ambiente e dei cicli di attivita' stagionali. La pressione di pesca varia a seconda del numeri di pescatori, ma anche dalle tecniche di pesca impiegate.

E' intuitivo pensare ad un impatto ridotto nel caso di specie molto prolifiche, in ambienti ampi e con scarsa pressione di pesca. Al contrario in ambienti ridotti, con specie poco prolifiche e un'elevata pressione di pesca gli impatti saranno piu' severi.
Potenzialmente anche la pesca sportiva puo' portare ad una riduzione significativa del numero di pesci in una popolazione. E ne esistono alcuni casi storici.

Per esempio alcuni pesci di larga mole che vivono sulle barriere coralline (grouper, simili a cernie) e sono oggetto di pesca sportiva sono state drasticamente ridotte e portate vicino all'estinzione. Se succede in mare puo' succedere anche in acque dolci, se non si regolamenta la pressione di pesca. Lo dimostra il caso del Murray cod, un perciforme australiano quasi estinto a causa della pesca sportiva.

Nel caso dei merluzzi del Baltico in Germania le catture dovute alla pesca sportiva sono pari al 40% delle catture totali, incluse quelle della pesca professionale. Quindi in contributo relativamente significativo.

Dunque, come gia' visto in passato, la pesca ha anche per contro un impatto che potrebbe essere positivo nel contribuire al contenimento di specie alloctone.

Murray cod, no non e' un merluzzo

La pressione di pesca non coinvolge solo il numero degli esemplari della specie target ma anche e soprattutto la loro taglia media. Una forte pressione di pesca potrebbe in alcuni casi selezionare le taglie delle catture, di conseguenza la distribuzione di taglie all'interno della popolazione ne risentira'. Come abbiamo visto in altri articoli questo e' un fattore a volte determinate, a volte meno.

Ma cosa succede agli esemplari di altre specie (non target)?

Molte tecniche di pesca non sono selettive. Quindi il loro effetti non sono concentrati su di un unica specie ma sono distribuiti su piu' specie contemporaneamente. Anche queste specie dunque possono essere influenzate dalla pressione di pesca.

I casi piu' classici sono pesche generiche, come la pesca a fondo, che mirano a tutte le specie che si nutrono sul fondo, senza distinzioni. Altri casi sono quelli di esemplari catturati per sbaglio, agganciandoli con ami ed ancorette durante azioni di pesca mirate ad altre specie.

Durante la frega, gli abramidi tendono ad attaccare le esche artificiali, finendo per restare agganciate (foto Andoni Ortiz/Esoxfever)

Ma ci sono un'altra serie di impatti meno noti, o almeno meno considerati.

L'azione di pesca produce modifiche dell'ambiente naturale (p.es. con la creazione di campi gara o lo sfalcio per le postazioni) ed inquinamento (per via di gomma e piombi persi in acqua).
Questi sono sicuramente impatti minori, se confrontati ad altri usi umani del sistema acquatico, ma ci sono.

L'altro impatto enorme e' dovuto alla gestione della pesca sportiva. Questo avviene tramite immissioni di specie alloctone a fini sportivi, che provocano modifiche ambientali anche profonde e sono spesso irreversibili.

Un impatto molto forte ci puo' essere anche qualora le specie immesse non sono propriamente alloctone, almeno non a livello nazionale. Si tratta di inquinamento genetico.
In soldoni materiale genetico proveniente da diverse popolazioni viene mescolato in sede di incubatoio, o il materiale di immissione deriva addirittura da popolazioni fuori dall'italia, oppure si immette il ceppo del fiume X nel fiume Y, Z e W, compromettendo la struttura genetica originale delle popolazioni autoctone.
Immissioni di questo tipo hanno riguardato diverse specie, dal luccio, alle trote, fino anche alle carpe. I danni possono non essere immediatamente evidenti (lo sono nel lungo periodo) ma la perdita di biodiversita' e' irreparabile.


Bibliografia:
Lewin et al. 2006

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